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Il Sudan e la condanna del suo presidente al-Bashir




Dopo la sentenza delle Corte penale internazionale dell’Aia, che ha emesso il mandato d’arresto per Omar Hassan al-Bashir, il presidente del Sudan, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità in Darfur. Certo che la decisione dell’Aia ha suscitato molti commenti e non tutti favorevoli a questa iniziativa che appare molto simbolica e utile solo per evidenziare le responsabilità di Bashir nei confronti del conflitto e delle violenze nel Darfur. Sicuramente inefficace dal punto di vista della sostanza. Un azzardo dal punto di vista strettamente politico, che dimostra la debolezza della politica internazionale che ha preferito dare mandato al Tribunale Internazionale piuttosto che agire con fermezza e coerenza. Poi nessuno ha spiegato chi e come dovrebbe andare ad arrestare il presidente Bashir. Lo stesso Luis Ocampo, procuratore capo del Tribunale Internazionale, ha dichiarato al canale satellitare Al-Arabiya che non “invieremo nessuno ad ammanettare il presidente sudanese“.

Combatteremo contro il neocolonialismo – così il presidente sudanese Al Bashir sfidando il mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja con una visita in Darfur, in guerra dal 2003, per la cui situazione è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. Il presidente ha poi ribadito che il Sudan rifiuta le decisioni dell’Aja perchè non ha firmato lo Statuto di Roma con cui è stato istituito il Tribunale penale internazionale. Oltre a questo ha anche fatto espellere dal paese 13 organizzazioni non governative accusate di aver collaborato con gli investigatori del tribunale

Per Gino Strada di Emergency si tratta di una manovra politica contro gli africani «Il mandato di cattura emesso dal tribunale internazionale contro il presidente Omar al Bashir è grottesco. Come fa un istituto come la Corte che non è riconosciuto dal Sudan ad emettere un provvedimento contro un cittadino sudanese e per di più presidente?» Ancora nell’intervista al corriere della sera Strada giustamente evidenzia la disparità di trattamento della comunità internazionale e, come spesso accade, l’Africa è quella che ci rimette. “La credibilità del Tribunale de l’Aja è così minata per sempre. Inoltre sembra ci sia un accanimento sugli africani. Perché nessuno indaga George W. Bush, per le violenze in Iraq, o Ehud Olmert, per i massacri dei civili a Gaza, o Vladimir Putin, per i crimini di guerra commessi in Cecenia? Non andrebbero quanto meno investigati per le atrocità commesse dalle loro truppe? La corte sembra essere manovrata, indirizzata verso coloro che non sono ortodossi. Insomma sembra quasi che le sue decisioni siano prese in base a un’agenda politica e con profondi pregiudizi»

Per Rudolf Deng, presidente della Conferenza dei vescovi sudanesi “L’arresto del presidente Omar al-Bashir non porterà la pace in Sudan, Paese devastato dalla guerra e che ha bisogno di una vera riconciliazione”. “Per salvare il Sudan – ha aggiunto il presule – abbiamo bisogno di maggiore sincerità sia da parte dei politici che da parte dei ribelli e di maggiore attenzione da parte della comunità internazionaleâ€?.

Per Antonio Cassese, ex presidente del tribunale dell’Aia e presidente della commissione d’inchiesta dell’Onu sul Darfur Purtroppo l’effetto perverso del mandato di cattura è che ha rafforzato Bashir sia in Sudan sia presso i Paesi africani ed arabi, mentre ha messo a grave repentaglio le organizzazioni umanitarie che lavorano nel Darfur.” Inoltre la giustizia internazionale subirà un duro contraccolpo dal momento che baschir non cerrà mai arrestato. Per Cassese sarebbe stato più saggio procedere con grande cautela, e magari emttere solo un mandato di comparizione e non di arresto.

Critica la posizione di Nigrizia nei confronti dei molti maître à penser che si stracciano le vesti. La corte – affermano – avrebbe dovuto riflettere più attentamente sulle conseguenze del suo operato. Qualcuno s’è spinto fino al punto di affermare che un mandato di cattura internazionale dovrebbe essere spiccato contro un “tiranno� (o un colpevole) già arrestato (vedi Milošević), così che non possa fare ritorsioni proprio contro coloro che si vuole proteggere. Ma non si era deciso di fare tutto il possibile per prevenire i crimini contro l’umanità?

L’editoriale scritto da Franco Moretti plaude alla decisione del Trinunale Internazionale invitando al comunità internazionale a fare un esame di coscienza: Washington, Londra, Parigi, Pechino, Khartoum, Il Cairo… l’Onu, l’Unione europea, l’Unione africana, la Lega araba, il mondo intero, da 6 anni ormai vanno dicendo che stanno impegnandosi per portare la pace in Darfur. Bugie! Quando il segretario generale dell’Onu ha chiesto di poter aumentare il numero della forze di pace nella martoriata regione sudanese, non ha trovato un solo governo disposto ad accollarsi, anche solo in parte, l’onere dell’operazione (in termini di finanze e di personale). Riteniamo che il procuratore generale della Cpi, Moreno Ocampo, abbia concesso alla comunità internazionale più del tempo necessario per mostrare che davvero intende portare la pace in Darfur.

TimeForAfrica ritiene che le posizioni espresse qui sopra riportate, siano legittime. Certo è che la Comunità Internazionale e la Politica in questi anni non sono riuscite ne a governare e gestire le grandi crisi come quelle del Darfur , e nemmeno il processo di globalizzazione lasciato in mano alla Finanza speculativa e di rapina che ha contribuito ha impoverire le persone aumentando il solco delle ingiustizie. La sentenza del tribunale internazionale, che non sortirà effetti tangibili, potrebbe essere uno spiraglio  per  mettere in condizioni al comunità internazionale di agire in modo più risoluto per porre fine alle violenze del Darfur: certo la Cina e la Russia non possono essere messe da parte.

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